Un esempio luminoso di fede e di speranza
Fu un’emozione grandissima trovarsi di fronte Annalena, essere chiamati da lei, addirittura convocati per una conferenza stampa. La cercavano da tutto il mondo ma si era consegnata al silenzio, tratto distintivo della sua missione in Africa. Quando ero direttore de “il Momento” ricordo che ci telefonarono persino i giornalisti americani, pure quelli di “Usa Today”, che volevano intervistarla e chiedevano della nuova Madre Teresa di Calcutta forlivese. Con un certo imbarazzo non sapevamo cosa rispondere allora, visto che Annalena non rilasciava interviste, non parlava attraverso i mezzi di comunicazione ma con la sua vita. Ed invece, quel 21 giugno 2003, lei era di fonte a noi, pronta per essere intervistata. E nel disegno provvidenziale divino quella storica intervista avvenne nella sede del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo, in via Lunga a Forlì, proprio pochi mesi prima della sua morte il 5 ottobre. Fu un caso? Ci trovammo al cospetto di una testimone cercata da tempo e che ora “rompeva” il silenzio per consegnare per sempre alle parole il significato della sua vita. Un prodigioso e ineluttabile richiamo alla sapienza, nutrita da quella fede che in Annalena aveva preso corpo negli anni giovanili del servizio al “Casermone” dove già andava ad aiutare i poveri di allora. Il “privilegio” di essere lì a fare quell’intervista fu una grande occasione carica di responsabilità per far conoscere di più la “santità” di Annalena. Seguirono poi i giorni clamorosi con la consegna del premio Nansen a Ginevra, l’incontro pubblico il 30 giugno nell’auditorium dell’allora Cassa dei Risparmi gremito di gente col caloroso abbraccio della città, vogliosa di sentire, ascoltare, capire. Fu una sorpresa per tutti. Il silenzio prima, la parola poi. Da far venire i brividi! Pochi mesi dopo arrivò inaspettata la ferale notizia della sua morte. E tutto prese una luce diversa. Ricordo ancora come fui chiamato giornalisticamente a dare quella notizia. Giunse una saetta all’improvviso la sera tardi di domenica 5 ottobre 2003. Uscivo sgomento, dopo aver visto la sconfitta dell’Inter a un derby, dal circolo del teatro Novelli di Santa Rita, con tanti tifosi, e mi si avvicinò il parroco don Enzo Scaioli che con voce sottile mi sussurrò: «È morta Annalena». Lì per lì non afferrai, ero ancora confuso per la sconfitta nerazzurra... Pochi passi e tornai indietro, colto dal dilemma classico dei giornalisti: lasciar perdere, vista l’ora tarda, o darsi da fare per saperne di più e avere conferme. Ricordo che quasi urlai a don Enzo di dirmi da chi lo aveva saputo, chi era la fonte e, constatata l’attendibilità, mi precipitai a chiamare i colleghi del “Carlino”, il caporedattore Emanuele Chesi, Ettore Morini e Andrea Degidi. Grazie al fatto che Ettore stava stilando i tabellini delle partite domenicali, il giornale era ancora aperto. Si bloccarono perciò le rotative, addirittura a Bologna e di tutto “il Resto del Carlino”, per uscire in pagina nazionale oltre che in quelle locali. Lavorammo ore febbrili per verificare, fino all’ambasciata italiana a Gibuti, la veridicità di una notizia che abbiamo dato col cuore in gola, scrivendo articoli con ancora negli occhi le immagini di Annalena che parlava a noi giornalisti in quella conferenza stampa di giugno, e poi a tutta la città nell’auditorium. La mattina dopo uscì la notizia in locandina e venne anche la Rai a riprenderla per darla al Tg. Fu un’evidenza clamorosa e dolorosa, la notizia della morte di Annalena è stata diffusa in Italia e nel mondo. Da lì è partita una scossa che ha attraversato il cuore di migliaia, milioni di persone e anche l’informazione ha fatto la sua parte perché oltre alla morte si raccontasse la vita. Una vita esemplare per tutti.