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Massimo Recalcati: «Imparare a fare qualcosa con il buio»

on Febbraio 27, 2022

Pubblichiamo l’intervista realizzata da Alessandro Rondoni al dott. Massimo Recalcati, psicoanalista e docente universitario, in occasione dell’incontro “Fragilità, sorella mia”, svoltosi il 23 febbraio nella Cattedrale di Bologna insieme all’Arcivescovo, Card. Matteo Zuppi, e al teologo Jean-Paul Hernandez nell’ambito de “Le Notti di Nicodemo. Le domande dell’uomo che nel buio cerca la luce”.

Dott. Recalcati, stiamo attraversando le domande, le ansie, le paure, le attese dell’uomo dopo due anni di pandemia. Come possiamo vivere questo tempo in fecondità?
Noi pensavamo di esser padroni della terra, signori del mondo, pensavamo di avere negato l’esperienza del limite, di aver escluso dalle nostre vite la dimensione della fragilità, della vulnerabilità. Il virus ci ha ricordato tutto il contrario, ci ha ricordato che basta poco, qualcosa di incalcolato, per trasformare la nostra potenza in impotenza, per fare riemergere la fragilità che noi vorremmo negare. È una delle grandi lezioni di questa terribile pandemia, di cui dovremo fare tesoro.

Guarigione, salvezza: ora dobbiamo tutti un po’ convivere con il virus, e quindi cambiare anche il termine di cosa vuol dire per noi guarigione, cosa vuol dire salvezza…
Sì, noi siamo abituati a pensare in modo scisso la guarigione dalla malattia, la paura dal coraggio, la vita dalla morte, e invece tutti questi elementi in realtà si annodano e si mescolano uno nell’altro, la luce nel buio, il buio nella luce. Questo è un altro grande insegnamento della pandemia. Non c’è da una parte la paura e dall’altra il coraggio, l’uomo coraggioso è l’uomo che riconosce la propria paura, la fragilità non è opposta alla forza, la fragilità è e può essere un nome della forza.

Curare le relazioni, “avrò cura di te”, curare la comunità in questo tempo vuol dire anche la ripresa?
Sì. Quando c’è incuria, quando noi diventiamo dei numeri, e in questa pandemia abbiamo ascoltato molti numeri, curve, grafici, percentuali, a volte ci dimentichiamo che dietro ai numeri ci sono dei nomi, ci sono delle persone, delle vite… Ecco, aver cura significa ogni volta ricordare che il numero non può mai esaurire quella che Francesco definisce la dimensione immensamente sacra del nome, la dimensione immensamente sacra della vita.

Bologna in questi giorni ricorda Lucio Dalla, Pier Paolo Pasolini. Come trasformare anche questo tempo in poesia?
Questo è un grande compito anche per chi fa il mio lavoro. Io sono psicanalista. Un grande psichiatra come Basaglia, che ha lavorato tutta la vita con la follia, ci diceva che noi non possiamo escludere il buio, l’oscurità dalla nostra vita, dobbiamo piuttosto imparare a fare qualcosa con il buio. Ecco, la poesia non è luce opposta al buio, ma è imparare a fare qualcosa con il buio.

Sono stati due anni anche di martellamento mediatico, di informazione continua, bollettini. Il mondo del giornalismo vive il tempo dei social, siamo nella “socialitudine”, cioè una nuova socialità e una nuova solitudine, in un intreccio incredibile…
Questa, se vuole, è un’altra, l’ennesima lezione del Covid. Cioè la salvezza o è collettiva o non è possibile, nessuno si salva da solo, appunto. L’idea che la libertà sia una proprietà individuale è un’impostura, il Covid lo dimostra. La libertà non è una proprietà dell’individuo. O la libertà è solidarietà, connessione, socialità, oppure è una pura menzogna.

In conclusione come si può dire «Eccomi» in questo tempo di attesa, di luce, di fragilità, di buio, di speranza?
«Eccomi» è una parola biblica fondamentale. Potremmo dire che «eccomi», tra le parole bibliche, è forse quella che più di tutte esprime il valore della cura. «Eccomi» significa offrire la propria presenza a chi è caduto in una buca: «Non sei solo, eccomi».

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